mercoledì 5 dicembre 2007

INIZIO

Giunto a trent’anni, Zarathustra lasciò il paese ed il lago del suo paese, e andò sui monti. Qui godette del suo spirito e della sua solitudine, né per dieci anni se ne stancò.
Alla fine si trasformò il suo cuore, - e un mattino egli si alzò insieme all’aurora, si fece al cospetto del sole e così gli parlò:
“Astro possente!Che sarebbe la tua felicità, se non avessi coloro ai quali tu risplendi!
Per dieci anni sei venuto quassù, alla mia caverna: sazio della tua luce e di questo cammino saresti divenuto, senza di me, la mia aquila, il mio serpente.
Noi però ti abbiamo atteso ogni mattino e liberato del tuo superfluo; di ciò ti abbiamo benedetto.
Ecco! La mia saggezza mi ha saturato fino al disgusto; come l’ape che troppo miele ha raccolto, ho bisogno di mani che si protendano.
Vorrei spartire i miei doni, finchè i saggi tra gli uomini tornassero a rallegrarsi della loro follia e i poveri della loro ricchezza.
Perciò devo scendere giù in basso: come tu fai la sera, quando vai dietro al mare e porti la luce al mondo infero, o ricchissimo tra gli astri!
Anch’io devo, al pari di te, tramontare, come dicono gli uomini, ai quali voglio discendere.
Benedicimi, occhio pacato, scevro d’invidia anche alla vista di una felicità troppo grande!
Benedici il calice, traboccante a far scorrere acqua d’oro, che ovunque porti il riflesso della tua dolcezza!
Ecco! Il calice vuol tornare vuoto, Zarathustra vuol tornare uomo!”

- Così cominciò il tramonto di Zarathustra.

“Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno”, prologo.

Nessun commento: